Tre anni dopo la Riforma, come è cambiato il Terzo Settore

Il piano di revisione del mondo del volontariato italiano è ormai a pieno regime, e per molte associazioni rappresenta l’occasione per darsi un modello di gestione più solido e rigoroso

Sono passati più di tre anni da quando, nel 2017, l’allora governo Gentiloni decise di varare una riforma per regolare il mondo del Terzo Settore, un ambito che nel nostro Paese coinvolge 300.000 associazioni, 1 milione di lavoratori e oltre 5 milioni di volontari. Si è trattato di un ambizioso piano di riordino e di revisione delle normative in vigore, con lo scopo – si legge nell’articolo 1 del Decreto Legge – di “sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune”. Oggi, tre anni dopo, la riforma è a pieno regime, e gli addetti ai lavori hanno imparato a muoversi in uno scenario un po’ cambiato (che, per molte associazioni, ha anche comportato la necessità di ripensare il proprio modello di governance).

Riforma del Terzo Settore: cosa è cambiato?

Non è semplice condensare in poche righe le novità apportate da una riforma che riorganizza un mondo tanto variegato come quello del volontariato e dell’associazionismo. In estrema sintesi, questi sono i punti essenziali:

  • Definizione. Per la prima volta si determina per legge cosa è il Terzo Settore, indicando chiaramente quali enti e soggetti lo compongono.
  • Enti. Sono stati divisi in sette tipologie: organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, imprese sociali (tra cui le cooperative sociali), reti associative, società di mutuo soccorso, altri enti (associazioni riconosciute e non, fondazioni, enti privati senza scopo di lucro diversi dalle società).
  • Registro unico. Gli enti del Terzo Settore sono obbligati, per definirsi tali, a iscriversi a un Registro unico nazionale, che si è sostituito ai vari elenchi presenti in precedenza e che è monitorato e gestito dalle Regioni.
  • Dotazione finanziaria. Sono stati stanziati 190 milioni, per il 60% dedicati a incentivi di carattere fiscale, gli altri destinati a implementare il Registro nazionale e a sviluppare il Fondo per i progetti innovativi delle organizzazioni.
  • Incentivi alle imprese sociali. Il 30% dell’investimento iniziale potrà essere fiscalmente deducibile o detraibile, come avviene per le startup tecnologiche.
  • 5 per mille. Il meccanismo di erogazione è stato reso più rapido eliminando i due anni in precedenza necessari per conoscere le somme destinate dai contribuenti. Allo stesso tempo le associazioni sono tenute a rendere conto pubblicamente dei modi in cui impiegheranno queste risorse.

Un nuovo rapporto fra pubblico e associazioni

Un capitolo a parte meritano le novità che riguardano le relazioni fra enti pubblici e Terzo Settore, che mirano a valorizzare le esperienze di collaborazione costruite negli anni e per la prima volta normate in modo organico. A essere riconosciuta è l’importanza del partenariato pubblico-privato per contribuire a un settore sempre più virtuoso e funzionante. Da un lato la riforma esplicita alcune indicazioni pratiche alla pubblica amministrazione, come ad esempio cedere senza oneri beni mobili o immobili per manifestazioni, o incentivare la cultura del volontariato, soprattutto nelle scuole. Dall’altro, solo le organizzazioni di volontariato iscritte al Registro unico da almeno sei mesi possono sottoscrivere convenzioni con le amministrazioni pubbliche per svolgere attività sociali, dopo aver dimostrato di essere in possesso dei requisiti di moralità professionale e di essere capaci di portare a termine gli impegni; una novità che sta già conducendo le associazioni di volontariato verso un sistema più solido e rigoroso di gestione delle proprie attività.

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